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CORONAVIRUS f.a.q.

L’evoluzione delle misure di emergenza per il contenimento del coronavirus

Decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2020

Il primo passo verso il contenimento dell’epidemia da coronavirus è stata l’emanazione di un decreto-legge, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

L’art. 1, comma 1, del decreto, allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, prescrive che nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona, le “autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.

La norma, all’art. 3, dispone che le misure siano adottate con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM).

DPCM 8 marzo 2020

Ad introdurre le prime concrete misure contenitive a livello regionale è stato il DPCM dell’8 marzo (link al DPCM 8.3.2020), con il quale nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono state adottate varie misure di sicurezza volte ad impedire la diffusione del coronavirus, valide sino al 3 aprile 2020.

Tra queste, vanno ricordate:

  • quarantena obbligatoria per i positivi al coronavirus;
  • sospensione di tutti gli eventi sportivi, salva la possibilità di svolgere competizioni professionali nazionali o internazionali in impianti sportivi utilizzati a porte chiuse (possibilità esclusa con il successivo DPCM 9 marzo 2020);
  • sospensione di tutte le manifestazioni organizzate, nonché gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico (con sospensione delle attività di cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati);
  • chiusura delle scuole di ogni ordine e grado;
  • chiusura dei bar e ristoranti alle ore 18:00.

La principale misura di contenimento resta, comunque, quella del c.d. distanziamento sociale, previsto dall’art. 1 lettera a) del decreto:

evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”.

Sul fronte dell’attività motoria ricreativa, il decreto dispone che su tutto il territorio nazionale siano consentiti “lo sport di base e le attività motorie in genere, svolti all’aperto ovvero all’interno di palestre, piscine e centri sportivi di ogni tipo”, esclusivamente “a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro”.

DPCM 9 marzo 2020

Il giorno successivo, considerati l’evolversi della situazione epidemiologica, il carattere particolarmente diffusivo del coronavirus e l’incremento dei casi sul territorio nazionale, il Presidente del Consiglio ha esteso le misure previste dal DPCM 8 marzo 2020 per le Regioni e le province più contagiate all’intero territorio nazionale (link al DPCM 9.3.2020).

Di conseguenza, in tutta Italia è stato introdotto, tra gli altri, anche il divieto di ogni spostamento che non sia giustificato da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute.

Il decreto, inoltre, ha irrigidito le misure di sicurezza e prevenzione, vietando in tutta Italia “ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico” e definitivamente disponendo la sospensione di ogni attività sportiva professionale (Serie A in primis; il 13 marzo 2020, la UEFA ha a sua volta deciso di sospendere le gare di Europa League e Champions League).

Il DPCM conferma anche le disposizioni relative all’attività motoria, che può svolgersi all’aperto (posta la chiusura obbligatoria di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori già prevista dal DPCM 8 marzo 2020 per i territori più contagiati) a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro.

DPCM 11 marzo 2020

Dopo alcuni giorni, il Governo ha deciso di introdurre ulteriori misure di contenimento del coronavirus, prevedendo in particolare la chiusura di tutte “le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità”, delle “attività dei servizi di ristorazione” e delle “attività inerenti i servizi alla persona” fra cui parrucchieri, barbieri ed estetisti (link al DPCM 11.3.2020).

Cosa si può e fare e cosa invece non si può più fare durante l’emergenza coronavirus

Vista la complessità delle disposizioni d’emergenza e la loro introduzione “a cascata”, con ciascun decreto introdotto per modificare ed integrare quello precedente, che a sua volta adottava misure sulla base di un decreto-legge a monte, v’è ora da chiedersi:

cosa si può ancora fare??

cosa non si può fare??

cosa mi succede se non rispetto le nuove regole  sul coronavirus??

Partiamo dall’ultima delle domande riportate, facendo un’ovvia premessa.

Le regole adottate dal Governo sono poste a tutela della collettività e della salute pubblica e individuale di ciascun cittadino. Servono a rallentare, sino ad eliminare, la diffusione del coronavirus, che ogni giorno uccide centinaia di persone. Quindi, prima ancora che giuridicamente, ognuno è tenuto moralmente ed eticamente a rispettare le limitazioni imposte dal Governo per contenere la diffusione del coronavirus.

La prima regola, quindi, è restare a casa, salvo che non sia strettamente necessario.

Tanto premesso, seguendo le regole imposte dai decreti richiamati, è consentito spostarsi sul territorio nazionale soltanto per:

  • comprovate esigenze lavorative;
  • situazioni di necessità,
  • motivi di salute,
  • rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.

Queste regole valgono non solo per gli spostamenti al di fuori del comune, ma anche per quelli all’interno del proprio comune di residenza.

Il motivo dello spostamento va sempre indicato sull’apposita autodichiarazione fornita dal Ministero dell’Interno, la quale, in ogni caso, può essere richiesta direttamente anche agli agenti di pubblica sicurezza che dovessero chiedere spiegazioni durante un controllo (link al nuovo modulo fornito dal Ministero dell’Interno il 17 marzo 2020)

Ciò detto, senza pretesa di esaustività, si va ad affrontare e spiegare le singole ipotesi che giustificano lo spostamento personale all’interno del territorio nazionale durante l’emergenza coronavirus.

Rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza

Partiamo dall’ultima delle ipotesi indicate dai DPCM, per confutare il primo escamotage che alcuni hanno sollevato non è possibile spostarsi senza alcun motivo all’andata per poi giustificare il ritorno a casa con la scusa del rientro al proprio domicilio.

Infatti, il rientro al domicilio legittima lo spostamento solo se l’uscita è a sua volta giustificata da uno dei motivi espressamente previsti dalle disposizioni di sicurezza (comprovate esigenze lavorative, motivi di salute e situazioni di necessità).

Comprovate esigenze lavorative

Secondo l’interpretazione dei Consulenti del Lavoro (circolare 6/2020), le comprovate esigenze lavorative “non devono necessariamente rivestire il carattere della eccezionalità, urgenza o indifferibilità, potendole intendere riferite, alla luce di quanto emerge dalla norma e dai primi chiarimenti di prassi, alle ordinarie esigenze richieste dalle modalità attraverso le quali si è tenuti a rendere la prestazione lavorativa”.

La legge, in effetti, non impone a tutte le attività produttive di chiudere (ma solo a quelle indicate negli allegati al DPCM del 11 marzo 2020), consentendo la prosecuzione delle attività produttive con delle specifiche raccomandazioni:

  • adozione, ove possibile, dello smart working;
  • si incentivano ferie e congedi retribuiti;
  • si consiglia la chiusura di reparti non indispensabili;
  • l’assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, l’adozione di strumenti di protezione individuale;
  • la sanificazione dei luoghi di lavoro.

Pertanto, è sempre consentito lo spostamento giustificato dalle ordinarie esigenze lavorative, oltre ad essere consentito anche il normale tragitto casa lavoro (si badi: normale tragitto!!).

Vanno in questo senso anche le indicazioni fornite dal ministero dello Sviluppo Economico e quello dei Trasporti: “salvo che siano soggetti a quarantena o che siano risultati positivi al virus, i transfrontalieri potranno quindi entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa”. Sono indicazioni che, per estensione, si possono considerare applicabili a tutti i lavoratori.

A ulteriore conferma, arrivano le FAQ pubblicate sul sito del Governo, in base alle quali:

  • è sempre possibile uscire per andare al lavoro, anche se è consigliato lavorare a distanza, ove possibile, o prendere ferie o congedi;
  • si considerano giustificati gli spostamenti per esigenze lavorative (anche da un comune all’altro).

Chiaramente, l’esigenza lavorativa deve essere “comprovata”.

Pertanto, in sede di controllo da parte delle Autorità di sicurezza, è chiesto al lavoratore di dimostrare la finalità lavorativa del proprio spostamento, attraverso l’esibizione del contratto di lavoro, del badges ed anche dell’autocertificazione pubblicata sul sito del Ministero dell’Interno

Motivi di salute

Il DPCM in vigore consente, come ovvio, gli spostamenti giustificati da ragioni di salute, che devono tuttavia essere documentate mediante l’esibizione della documentazione sanitaria, dell’appuntamento fissato dal medico e, chiaramente, mediante l’esibizione del modulo di autodichiarazione.

Situazioni di necessità

Gli spostamenti sono consentiti per comprovate esigenze primarie non rinviabili, come ad esempio per l’approvvigionamento alimentare, per andare in farmacia, per la gestione quotidiana degli animali domestici, per fornire assistenza ad un parente anziano non autosufficiente ed anche per svolgere attività sportiva e motoria all’aperto, rispettando la distanza interpersonale di almeno un metro (si veda a tal riguardo la circolare del Ministero dell’Interno del 12 marzo 2020, pag. 4).

Anche in questo caso, punto nodale della disposizione è la dimostrazione della situazione di necessità.

Oltre all’autodichiarazione, se richiesti dalle Autorità di sicurezza, vanno esibiti, ad esempio, gli scontrini delle farmacie o dei supermercati o le borse della spesa.

Attenzione!

Non c’è dubbio che l’attività motoria sia espressamente consentita dal DPCM 9 marzo 2020 e che essa, secondo la circolare del 12 marzo 2020, rientri tra le situazioni di necessità che possono giustificare gli spostamenti a piedi e in bicicletta.

Tuttavia, ancor più evidente è che l’attività motoria deve rispettare due regole precise:

  • se ci si trova in un luogo con più persone, bisogna rispettare sempre la distanza di sicurezza di un metro tra ciascun individuo;
  • bisogna evitare di formare assembramenti di persone.

Nonostante le chiare indicazioni normative, questa particolare disposizione è stata, per così dire, “male interpretata” da alcuni concittadini, che con la scusa dell’attività motoria hanno organizzato corse di gruppo, biciclettate, partite a calcio e, in generale, assembramenti non consentiti.

Motivo per il quale, alcuni Sindaci di Comuni italiani hanno emanato ordinanze di urgenza ex art. 50 TUEL, con le quali sono state ulteriormente limitate le possibilità di spostamento dei cittadini.

È il caso del Comune di Verona, che vista l’anormale affluenza di persone nelle aree ricreative all’aperto, si è visto costretto a vietare su tutto il territorio comunale e sino al 25 marzo (si veda l’ordinanza al seguente link):

  • la circolazione sulle piste ciclopedonali, salva la possibilità di percorrere con velocipedi per spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità;
  • l’accesso ai pedoni su tutte le piste ciclopedonali;
  • l’accesso nelle aree verdi (compresi i bastioni del Parco della Mura comunali) e sulle alzaie del fiume Adige;
  • l’utilizzo delle panchine ubicate nelle piazze, nei giardini, nelle aree verdi e lungo le strade;
  • di limitare l’accesso alle aree cani ad una sola persona per volta e per un massimo di cinque minuti.

L’ordinanza introduce anche una sanzione amministrativa per il caso della sua violazione, che va da 25 euro a 500 euro.

Le sanzioni

La violazione delle norme introdotte dai DPCM (spostamenti senza le comprovate esigenze lavorative, di salute, di necessità primaria e di rientro) configura un’ipotesi di reato.

Si tratta del reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, previsto e punito dall’art. 650 c.p., a mente del quale “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.

Prima conseguenza dell’introduzione di una ipotesi di reato è, quindi, che la multa non può essere concretamente emessa dalla Polizia che effettua il controllo, la quale, quindi, non può chiedere il pagamento della sanzione e, in caso di violazione, deve solo trasmettere la notizia di reato alla competente Procura.

La sanzione penale, quindi, sarà poi applicata dall’Autorità Giudiziaria.

L’ipotesi più probabile è che, all’esito delle indagini, il Pubblico Ministero emetta un decreto penale di condanna nei confronti del trasgressore, condannandolo al pagamento di una somma pecuniaria.

In questi casi, all’imputato sarà nominato d’ufficio un avvocato e lo stesso avrà anche la facoltà (e la convenienza) di rivolgersi ad un proprio legale di fiducia, il cui nominativo potrà essere fornito anche agli agenti nel momento in cui questi effettuano il controllo e provvedono alla denuncia.

L’imputato, quindi, potrà verosimilmente o chiedere la prosecuzione del processo allo scopo di provare la propria innocenza (se, ad esempio v’erano specifici motivi in grado di rendere legittimo lo spostamento che tuttavia non sono stati considerati dalle Forze di polizia), oppure chiedere l’estinzione del procedimento facendo uso dell’istituto giuridico della oblazione c.d. facoltativa.

Questo strumento è previsto dall’art. 162 bis c.p. e consente, nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, di estinguere il reato mediante il pagamento di una somma corrispondente alla metà del massimo della ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.

In questo caso, quindi, la sanzione “base”, cui si dovranno aggiungere le spese del procedimento (di solito assai contenute), sarebbe di centotre euro (pari alla metà del massimo dell’ammenda prevista dall’art. 650 c.p.).

Trattandosi di oblazione c.d. facoltativa, diversamente da quella obbligatoria prevista dall’art. 162 c.p. per le contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda, il Giudice potrà decidere anche di respingere la domanda di oblazione, in caso di abitualità della condotta (art. 104 c.p.), di contravventore professionale (art. 105 c.p.) ovvero avuto riguardo alla gravità del fatto.

Tralasciando le ipotesi di abitualità e professionalità, che si applicano solo a soggetti che abbiano riportato più di tre condanne penali per contravvenzioni della stessa indole (quindi si parla di un soggetto che nella vita sia stato denunciato e condannato per tre volte per la violazione dell’art. 650 c.p.), si evidenzia che la “gravità del fatto” rappresenta un’ipotesi limite, la quale deve essere giustificata da parte del Giudice sulla base di chiare evidenze fattuali che dimostrino una condotta gravemente offensiva del contravventore, la quale si ritiene non sussista nel caso “ordinario” di mancato rispetto delle prescrizioni di sicurezza.

Altra conseguenza, sempre penale, ipotizzabile in questo panorama di legislazione emergenziale è rappresentato dalle false dichiarazioni al pubblico ufficiale.

Se, infatti, durante un controllo si presenta all’Autorità di sicurezza una autodichiarazione che risulti poi mendace (ad esempio si indicano i motivi lavorativi dello spostamento ma, dopo i controlli, risulta che il soggetto era magari in ferie, o che l’azienda è chiusa), si realizza l’ipotesi di reato di cui all’art. 495 c.p.c., a mente del quale “chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni”.

Si tratta di un reato particolarmente grave, che prevede una sanzione massima di sei anni di reclusione, cosa che esclude anche la possibilità di fare uso della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131 bis c.p. per i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni.

Pertanto, è caldamente consigliabile di non riportare dichiarazioni mendaci nel modulo fornito dal Ministero.

Le particolari misure adottate dal Comune di Verona contro il coronavirus

Nel caso di ordinanze sindacali di urgenza, come quella adottata dal Comune di Verona, il principale strumento sanzionatorio è rappresentato dall’art. 7 bis del D.Lgs. 267/2000 (Teso Unico Enti Locali), che prevede in caso di violazione delle disposizioni la sanzione pecuniaria amministrativa da 25 euro a 500 euro.

In questo caso, secondo la giurisprudenza della Cassazione, non si configura invece la contravvenzione prevista dal richiamato art. 650 c.p., figura di reato quest’ultima applicabile solo ove vengano in considerazione provvedimenti adottati in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna specifica ipotesi normativa.

Pertanto, chi a Verona trasgredisce le specifiche disposizioni adottate dal Sindaco sarà soggetto alla sanzione amministrativa, mentre se e quando, nello stesso Comune, vengono violate le norme generali introdotte dai DPCM, restano applicabili le contravvenzioni di cui agli artt. 650 c.p. e 495 c.p. (quest’ultima in caso di falso al pubblico ufficiale).

In altre parole, se ti siedi su una panchina o accedi nelle aree verdi (compresi i bastioni del Parco della Mura comunali) o sulle alzaie del fiume Adige, ovvero a piedi sulle piste ciclopedonali etc., la sanzione è quella amministrativa, anche perché tali attività sarebbero consentite dal DPCM, sempre che sia rispettata la distanza di sicurezza di un metro.

Se, invece, sempre a Verona, ci si sposta senza che sussistano le comprovate esigenze richieste dalla normativa di emergenza o, in generale, si violano le prescrizioni e le limitazioni previste dsi DPCM, allora si verrà denunciati per il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 c.p.) e, in caso di dichiarazioni false sul modulo, per il reato di falso a pubblico ufficiale (art. 495 c.p.).

 

#restiamoacasa

In ogni caso, ricordiamoci che la prima e più basilare forma di rispetto e di responsabilità è quella di seguire le regole poste a tutela della collettività e della salute non solo pubblica, ma di ogni cittadino, giovane o anziano che sia.

Quindi, fatta la legge, almeno per stavolta, cerchiamo di non trovare l’inganno.

 

Per ogni dubbio non esitate a contattare lo studio legale Vallini Vaccari (Verona, Via Valpantena, 28) ai seguenti recapiti:

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avv. Nicolò Maria Vallini Vaccari